mercoledì 14 novembre 2012

Progettare è più difficile che produrre? - Qualche proposta.(Parte II)


..perché la chiave inglese?
E' passato tanto tempo dal mio post precedente, diversi mesi, ci sono stati di mezzo periodi di lavoro (che di questi tempi ha la massima priorità), case ed elettrodomestici da sistemare, brevi viaggi, e vari altri impegni di altro genere, fortunatamente anche piacevoli. Mi sono reso conto per l'ennesima volta che saper fare tante cose è spesso un problema perché distrae e rende difficile portare avanti i progetti più articolati. Il successo è nella specializzazione, e io sono un generalista. Ma passato il tempo mi rendo conto che tutte le considerazioni precedenti (vedi l'articolo del 21 maggio) sono ancora più attuali. Addirittura il numero di Wired di novembre è dedicato alla "nuova rivoluzione artigiana", il fenomeno dei "makers". Beh un po' in ritardo, forse dovevo fare il giornalista invece che il tiralinee, heh...

Ma torniamo al dunque.
I ragionamenti fatti precedentemente sono quel che mi ha spinto a domandarmi: se il guadagno nella produzione, in molti settori, non c'è (non ci sarà) più, cosa rimane?

Io credo che un tipo di guadagno resterà sempre disponibile, ed è quello insito nell'invenzione e nella progettazione.
La rinascita di Apple ne è stata una dimostrazione esemplare e nota a tutti, anche se non certo l'unica.
Certo, possiamo immaginare che la lotta di aziende non abbastanza all'avanguardia per mantenere il loro controllo sul "mondo delle cose" si inasprirà, sicuramente qualcuno cercherà di applicare il copyright anche alle "forme materiali", così come le case discografiche da anni ormai combattono la guerra di retroguardia contro la copia digitale della musica, ma considero improbabile che questi tentativi possano arginare un cambiamento tecnologico globale.

Un altro aspetto è che, nonostante quanto detto sopra, alcune abilità della "produzione" hanno ancora un valore.
Esistono (e vanno individuati e analizzati) alcuni settori industriali e manifatturieri dove un inseme socio-territoriale ha ancora un margine di vantaggio, sia dovuto alle tecniche avanzate, ai materiali specifici, ad esperienza, velocità o flessibilità. Questi ambiti vanno sostenuti e sviluppati, eventualmente attraverso interventi di collegamento fra loro di aziende tramite distreti industriali, o attraverso politiche di defiscalizzazione parziale o totale dei reinvestimenti (vincolati al mantenimento delle attività locali)
Ed esiste anche (ancora) l'arte, in quanto espressione tangibile di una sensibilità unica, e l'artigianato, la concrezione in prodotti unici (per quanto formalizzati e simili fra loro) di un sapere secolare o millenario.


Ma cosa implica questo cambiamento? Che bisogna anche ripensare a cosa ha un valore "intrinseco" che non si può "progettare, "produrre" o "replicare".
La storia, la cultura, il cibo, il paesaggio.
Le ricchezze "hardwired" nel territorio, custodite da una popolazione, diventano per contrasto sempre più importanti, e vanno difese e sviluppate meglio, devono diventare un volano di reddito per quei gruppi che le hanno (e le sanno conservare).
E in parallelo, si può anche lavorare per "creare" nuovi motori in questo senso.
Qualcuno ha trasformato un muro
in un'attrazione turistica di successo...
Mi ha colpito la storia di un mio "amico di internet" che per lavoro fa l'antico romano... nel Galles!
Non si parla dei centurioni che posano davanti al Colosseo, ma di un professore di Storia che ha pensato a come rendere più interessante le rovine scarne e relativamente banali di una fortificazione romana presenti nel suo piccolo paese.
Partendo con poco, un costume da soldato romano, il supporto della "pro loco" del posto, le sue competenze culturali e molto impegno, ha trasformato un pezzo di terreno con qualche vecchio muro in un'attrazione turistica per scuole e viaggi organizzati. Ora con una parte dei proventi accantonati stanno progettando di creare la ricostruzione del forte romano a poca distanza, non solo per ampliare l'offerta turistica "culturale" ma anche per organizzare eventi, gruppi di motivazione aziendali, festival...


Se vogliamo che ci sia un nuovo sviluppo della nostra economia, è secondo me ridicolo continuare a ragionare in termini di quanto possiamo rendere più economico il costo del lavoro (che se veramente il costo del lavoro fosse poi fondamentale, allora la schiavitù non sarebbe mai stata abolita) o di quanto possiamo aiutare questa o quella singola azienda o quella categoria con soldi dello stato, visto che oggi prendono i finanziamenti e domani spostano tutto in Nuova Guinea. E lasciamo stare gli aiuti alle banche, che poi a cosa servano delle banche che i soldi li prendono solo e non li prestano non si riesce a capire...
Ancora più ridicolo è mantenere settori intoccabili, albi e ordini professionali, esercizi con orari e regole medioevali, burocrazie ridondanti e sovrapposte... ma questo è un altro (lungo) discorso.
Speriamo che questa situazione faccia emergere un nuovo ceto politico che in questo senso si ponga il problema, sarebbe già qualcosa. Fin'ora non ci hanno nemmeno provato. Neppure i movimenti di maggior successo hanno mai fatto un discorso approfondito in questo senso perdendosi invece in rivendicazioni populiste sul tutto e niente.
Sono pochi i politici nuovi che sfiorano la complessità del discorso, ma forse proprio per questo non riescono a smuovere ancora masse sufficienti di voti.

Ma cosa posso fare io, voi, noi normali cittadini?
Certo non possiamo stare ad aspettare che la politica cambi da un giorno all'altro, non lo farà, visto come funziona il sistema politico italiano se cambierà qualcosa sarà come conseguenza dei cambiamenti nella società, e non viceversa
Però sicuramente noi possiamo pensare a cosa sappiamo progettare, prevedere, programmare, e pensare se può essere utile a qualcuno.
A cosa sappiamo fare, migliorare, raffinare, o produrre, e raggrupparci con chi può aiutarci a trasformarlo in un lavoro.
A cosa conosciamo e amiamo, della nostra terra e della nostra cultura che potrebbe essere valorizzato e fatto conoscere e godere a più persone.
Sicuramente qualcosa c'è, troviamolo e portiamolo avanti per costruire ancora il futuro. Anche perché il modello economico della "crescita volumetrica" si è dimostrato sbagliato e sicuramente non compatibile con l'evidente limite delle risorse a disposizione, è ora di pensare a come costruire una "crescita qualitativa".

Mi sembra che questa vignetta renda bene l'idea della
ricettività del nostro sistema paese verso le nuove idee... 
Non è un discorso facile vista l'impermeabilità al cambiamento delle istituzioni italiane, e alla ostinata aggressività dei ridondanti strati burocratici verso chiunque provi a fare qualcosa in qualsiasi campo, ma va affrontato.
Credo che solo attraverso un ragionamento "a più teste" si potrà sviluppare veramente un'economia nuova che sappia rinnovarsi attivamente, e che contemporanemente si dovranno dedicare tutte le energie possibili alla creazione delle condizioni in cui le idee invece di rimbalzare sulla roccia possano trovare terreno fertile e germogliare.
Per tanti motivi il "brainstorming" è un metodo poco usato in Italia, ma questo deve cambiare.

Sarebbe bello usare strumenti come questo blog per discuterne, o anche solo per far partire qualche seme di ragionamento che possa andare lontano, e io di certo spero che questo mio pensiero ad alta voce possa stimolarne altri.

lunedì 21 maggio 2012

Progettare è più difficile che produrre? - Un'analisi (Parte I)


Ieri,  produrre era più difficile che progettare.
Oggi, progettare è più difficile che produrre.


Così scriveva nel 1995 Augusto Morello sulla copertina della rivista StileIndustria, e la considerazione mi apparve già piena di senso all'epoca, anche se un po' futuribile per certi aspetti.
Oggi il senso è ancora di più evidente, in un'epoca in cui la produzione è diventata qualcosa da subappaltare in luoghi lontani, quando il valore fisico di moltissimi prodotti è quasi irrisorio.
Riletta qualche tempo fa mentre riordinavo una libreria, questa frase mi ha fatto oggi pensare e valutare come il nostro FUTURO è legato alla capacità di analizzare e capire sia cosa sappiamo progettare, sia cosa sappiamo produrre, e forse anche cosa non si può nè progettare nè produrre!

articolo e © http://www.slashgear.com
In un tempo in cui il prezzo pagato per un qualche "iThing" è forse per meno del 10% un costo di produzione, ma per la stragrande parte un "valore aggiunto" che copre trasporti, marketing, packaging, software, ricerca e sviluppo, e soprattutto un ampio margine di guadagno.
E il guadagno, voglio chiarirlo, per me è qualsiasi "valore aggiunto", che è e rimarrà il motore di ogni economia che va oltre la pura sussistenza.
Non credo sia positivo l'accumulo di capitale e di ricchezza improduttiva, non penso che la deriva finanziaria attuale sia salutare, ma penso che sia basilare per la nostra vita e per la società perseguire la capacità di creare valore aggiunto attraverso attività, e continuare a migliorarlo. Il valore aggiunto è quello che crea un valore di scambio che permette a un individuo o gruppo di offrire ad altri qualcosa che gli altri possono apprezzare e per il quale sono disposti ad offrire qualcosa in cambio.
© http://tomassalles.com
Senza questi valori aggiunti non possono esistere gli scambi di risorse che permettono a chi sa fare bene qualcosa di concentrarsi a farlo, raggiungendo quindi una maggiore efficienza, invece di doversi occupare di tutto quel che gli servirebbe per sopravvivere, con una specializzazione e quindi un'efficienza estremamente più bassa. Il valore aggiunto, quel valore che viene percepito dagli altri come più alto del puro costo di produzione, è quel che ci permette una elevata qualità della vita.


Davvero oggi produrre è "banale"? 

Ma tornando al punto di partenza, perchè ho preso questa frase di Morello come spunto per scrivere qualcosa, proprio oggi?
In effetti l'idea mi è venuta leggendo una notizia relativa al nuovo record di "stampa tridimensionale" in dimensioni infinitesimali (qui potete leggere l'articolo) e perdendomi a navigare fra i siti degli appassionati di stampa tridimensionale.
Quello che mi appassionava anni fa dei sistemi di prototipazione tridimensionale era la loro capacità di trasformare direttamente in realtà un puro concetto, producendo fisicamente un oggetto dal modello 3d esistente solo nella memoria di un computer, e all'epoca fantasticavo di come in un futuro sarebbe stato possibile che questa tecnologia diventasse alla portata di tutti, rendendo in parte inutile produzione e trasporto dei prodotti, visto che poteva essere teoricamente possibile vendere semplicemente il "blueprint" di un oggetto che poi i clienti avrebbero realizzato direttamente a casa propria.
© e info www.makerbot.com

Fantascienza per certi versi, ma forse nemmeno tanto, visto che questa ipotesi si sta avvicinando alla realtà. Esistono infatti già oggi in commercio per un paio di migliaia di dollari stampanti 3D che rendono possibile realizzare oggetti in plastica con un livello di dettaglio piuttosto elevato, ed esistono già siti che vendono i modelli tridimensionali di oggetti pensati proprio per questo metodo di produzione... ma molte persone vanno oltre, usandola per riparare i mobili di casa, o per decorare i dolci!
Se siete curiosi, andate a dare un'occhiata a cosa si può fare con un MakerBot e divertitevi un po... ma considerate che una macchina professionale permette di fare cose incredibilmente più complesse!
(Un video con diversi esempi di utilizzi della stampante 3D "da garage")
Produrre oggi è quindi, non ancora banale, ma sicuramente estremamente più semplice, e soprattutto non è più levato al know-how acquisito con decenni di esperienza ma è acquisibile in tempo "quasi zero" a patto di poter fare un investimento piuttosto ridotto.


DIY, modding, e "de-professionalizzazione".

Il discorso però secondo me è più ampio, visto il ritorno a un contatto più diretto con il "fare le cose" è piuttosto diffuso.
E' banale notare quanti sono i cittadini che comprano mobili da montare dedicandosi al più classico dei do-it-yourself, ma in parallelo a questo che è diventato un elemento comune e che riduce di molto la quantità di lavoro produttivo incorporata in molti beni, si diffonde anche la cultura del "modding", ovvero il personalizzare e modificare prodotti che nascono "semplici" o standard fino a farli diventare cose quasi completamente diverse. Si riduce quindi anche il margine per produrre oggetti solo superficialmente diversi per sfruttare differenti target di mercato con piccole variazioni del prodotto. Infine possiamo notare quante persone, sulla base di esperienze di DIY semplice, poi evolvono le loro competenze svolgendo lavori sempre più complessi che in alcuni casi sostituiscono quello di professionisti del settore.
E' anche, questo, un effetto della maggiore semplicità e sicurezza d'uso di molti strumenti e macchinari di lavorazione che una volta si potevano considerare puramente professionali, ma che oggi una persona attenta e motivata può imparare a usare in breve tempo con ottimi risultati.
In questo ambito, e con la "complicità" anche delle prototipatrici di cui sopra, potremmo ipotizzare che in un futuro molto vicino una rinascita dell'arte della riparazione, che era (è) ormai data per estinta a causa della rapida obsolescenza programmata dei prodotti low cost, meno costosi da sostituire che riparare... ammesso che non si sia capaci di farlo da soli.
E forse fiorirà addirittura a livello personale o quasi, visto che un paio di amici con un garage libero potranno presto crearsi un minilaboratorio con scanner e stampanti 3d di discreta qualità. Si tratterà quindi più di un'arte della duplicazione, in un certo senso, cosa che apre altri ulteriori scenari...

Pensiamo poi a quante persone oggi si dedicano alla personalizzazione di oggetti relativamente economici, come per esempio dei mobili, trasformandoli quindi in "oggetti di design" (o se non altro in "conversation pieces") superando quindi anche la necessità di acquistare prodotti costosi per dare un impatto più forte alla proprio stile di vita. Il design non è certo superato, ma lo styling o il design decorativo subisce forse una contrazione di mercato.
Qui trovate questi e altri "extreme hacks", e ovviamente su http://www.ikeahackers.net/


In poche parole, dal DIY al modding alla duplicazione-ricostruzione, penso di poter dire che assistiamo ad una ripresa di contatto con la cultura del fare, ad una specie di diffusa artigianalità tecnologica di ritorno.

Per molte persone però l'altro lato della medaglia è una sensazione crescente di impotenza e inadeguatezza nel momento in cui le macchine diventano sempre più efficaci e sempre più "intelligenti, in quanto possono completare la nostra abilità o addirittura in alcuni casi sostituire del tutto la nostra presenza.
Mentre una volta questo era vero nelle attività ripetitive e prevedibili, per certi aspetti "alleggerendo" il carico di lavoro che alcune persone dovevano sopportare con risultati anche nocivi, oggi possono affiancarci in moltissime situazioni, e addirittura sostituirci anche in attività non banali, come quelle dell'impiegato allo sportello bancario o dell'agenzia di viaggio, del venditore in negozio o del magazziniere.
Tante altre professioni vengono inoltre soppiantate dal DIY reso possibile dalla semplificazione delle competenze tecniche necessarie per svolgere compiti che precedentemente richiedevano un elevato grado di competenza e anni di pratica.
Un club dove il DJ non esiste più.
Pensiamo a come professioni considerate ancora "specialistiche", dal grafico al fotografo, dal DJ all'architetto d'interni, possano oggi essere svolte da tantissime persone con un periodo di apprendimento estremamente breve grazie all'ausilio di software e smart tools. Certo, un vero professionista con decenni di esperienza è ancora spesso migliore sotto molti aspetti, ma in tantissimi casi le necessità, le sensibilità o le aspettative dei "clienti-utenti" di questi nuovi semi-professionisti non giustificano la differenza di prezzo fra il professionista e il semi-professionista. Questa differenza può arrivare al 100% infatti, quando quello che una votla avrebbe potuto essere un cliente opta per il DIY in prima persona. E il professionista non lavora più.
Quindi se i lavori di routine sono in grande numero ormai già scomparsi, anche il "fare tecnico" è in alcuni (molti?) settori in via di estinzione, con un processo che forse potremmo definire "de-professionalizzazione".


La conclusione di questa breve analisi è quindi per certi versi preoccupante perché ci indica un restringimento  o una scomparsa di molti settori in cui era fino a poco tempo fa possibile creare del valore aggiunto attraverso la propria esperienza e la propria competenza, producendo qualcosa o svolgendo un serrvizio.
Per altri versi credo però si possano osservare degli spiragli di opportunità in evoluzione.
Nel prossimo articolo, a breve, ne scriverò, e per il momento spero comunque di aver suggerito qualche spunto anche a voi. Non esitate a discuterne nei commenti!



Una breve nota su Augusto Morello e StileIndustria

Anni fa, ai tempi in cui ero uno studente universitario, compravo (saltuariamente, infatti ne possiedo solo 3 numeri) una bella rivista: StileIndustria.
La copertina di ogni numero era composta di una grafica semplice ed elegante, sostanzialmente era una frase che introduceva il tema della rivista. Già questo può far immaginare quanto fosse focalizzata e interessante la rivista stessa, comprendente anche utili considerazioni sulle tecniche di produzione, sulle innovazioni del marketing e dell'organizzazione aziendale, sull'etica e sulla teoria del design.
Costava abbastanza (15.000 lire e io non avevo mai una lira), ma erano soldi ben spesi, perché si trattava di un concentrato di idee, informazioni, dibattiti e spunti ben scelti. La pubblicava EditorialeDomus e il direttore era Augusto Morello, all'epoca professore del Politecnico di Milano e presidente dell'ADI, che aveva idealmente ripreso il filo della rivista Stile Industria di Rosselli, nata nel 1953 e pubblicata per 9 anni.
Questa re-incarnazione ebbe vita ancor più breve, poco più di 2 anni. Un vero peccato, ma non una sorpresa, considerato il panorama industriale italiano ell'epoca, pur migliore di quello odierno, e ancor più considerando che la maggior parte dei cosidetti "designer" erano e sono ancor più oggi degli "stylist" in fondo interessati solo a inseguire o a creare una moda di breve respiro e di poco valore intrinseco.
Io personalmente consideravo Morello una personalità di spicco per lo stile impeccabilmente retrò, per la cultura incredibile, per le esperienze di vita e professionali, ma soprattutto per la abilità con cui riusciva a trasformare, con la sua affabulazione coinvolgente, la sua ironia, il suo gusto per l'aneddoto illuminante e il talento per la frase incisiva, qualsiasi lezione di Storia del Disegno Industriale in un racconto affascinante.
Sotto la sua direzione l'ADI e la Triennale di Milano si stavano dando finalmente una mossa, scrollandosi di dosso polvere, muffa e piccoli personaggio interessati solo a premi e poltrone, e all'inizio degli anni 2000 sembrava che potesse finalmente emergere un vero polo culturale del design a Milano.
La sua morte nel 2002 è stata secondo me un colpo tremendo, in quanto nessuno con la sua statura ha continuato il lavoro che stava portando avanti, e le potenzialità del design italiano hanno perso un motore di innovazione e di sviluppo, infatti non si è sviluppata più una vera comunità dei designer che vada oltre il ridicolo snobbismo radical-chic e la stucchevole autoreferenzialità.

Un'intervista ad Augusto Morello


venerdì 3 febbraio 2012

The green roof: l'utopia e i piccoli passi

Sono un utopista, lo ammetto. Ma un utopista dei piccoli passi.
Nanyang Technology University - Singapore
Per alcuni il termine "utopia" è un termine tabù, e dire a qualcuno "idealista" o peggio, "utopista" corrisponde a un velato insulto, altri (pochi) lo considerano un gran complimento. In ogni caso, sia per formazione che anche pensando al perché della diffidenza di molti verso "l'utopia", la mia prospettiva utopica si è affiancata a una ratio dei piccoli passi.
Anche in ambito progettuale ho sempre considerato il quadro teorico e gli obiettivi a lungo termine le forze propulsive, ma ho sempre cercato di essere pragmatico nell'applicazione continua e nella sperimentazione pratica, accumulando attività a breve termine come i piccoli passi che avvicinano al grande obbiettivo finale, e che nel frattempo migliorano comunque noi stessi e il nostro mondo.
Il green roof è in questo senso, credo, un esempio notevole di un passo avanti sulla strada della sostenibilità, tra l'altro un passo avanti grande e pratico.
Pensate a come l'orrendo tetto di bitume del vostro ufficio, terribilmente caldo d'estate e tristemente pieno di pozzanghere in inverno, potrebbe diventare un giardino pensile dove far riposare gli occhi, sedersi a mangiare il gelato, coltivare un'aiuola di fiori.


Green roof tradizionali
Il concetto di green roof non è nuovo, si può dire che sia quasi antico quanto gli insediamenti umani stabili nei paesi del nord Europa, ma sta riscuotendo un revival e un successo sempre maggiore nei paesi più avanzati, per le ragioni che vediamo a breve. Non pensiate però che sia una cosa che riguarda solo grandi progetti o architetti stravaganti. Praticamente tutti possono pensare a trasformare il lastrico solare del proprio condominio o della propria ditta in un green roof più o meno "performante", godendo in tutti i casi di grandi vantaggi.

I vantaggi potenziali al livello del singolo edificio sono molti. Il maggiore isolamento da caldo estivo e freddo invernale che si traduce anche in incredibili risparmi energetici, la possibilità di riciclare l'acqua di scarico per l'irrigazione, notevole capacità di isolamento sonoro e di ridotta riflessione del rumore. I green roof realizzati correttamente infine hanno una vita media doppia o addirittura tripla rispetto ai tetti normali.

Per gli abitanti-utenti dell'edificio si aggiunge la possibilità di utilizzare il green roof per il relax e le attività ricreative, la micro-agricoltura e il giardinaggio, addirittura attività commerciali (roof bar o ristorante)...
Al livello dell'intera comunità vanno ancora considerati gli importanti effetti di riduzione dell'isola di calore (il generale incremento della temperatura che rende le città invivibili d'estate) così come l'assorbimento della CO2 da parte della vegetazione, la ritenzione delle acque durante i temporali con minore rischio di inondazioni e l'assorbimento delle polveri sottili e dello smog.

Storicamente il "tetto verde" nasce in Scandinavia, dove nel medioevo ma anche precedentemente la maggior parte dei tetti erano coperti di prato (terriccio erboso) su uno strato di cannicciato, poichè questo offriva un'isolamento ottimale da freddo e precipitazioni mentre il peso del terriccio aiutava a stabilizzare la casa contro i venti.

Le tecnologia è oggi molto affidabile, non ci si deve preoccupare per eventuali infiltrazioni d'acqua se il tetto è realizzato correttamente (alcuni privati oggi si affidano addirittura al do-it-yourself), ed è molto facile realizzare un green roof durante una normale ristrutturazione. Teniamo comunque presente che questo tipo di tetto esiste da migliaia di anni!
Nel caso che la struttura di un tetto o di un edificio non sia in grado di sostenere il carico aggiuntivo di uno spesso strato di terriccio, o se il budget è limitato, è possibile utilizzare 
substrati precoltivati leggeri da appoggiare su un lastrico solare esistente, previa copertura con un manto impermeabilizzante e apposizione di filtri sulle uscite di grondaia.
I green roof più completi vengono integrati fin dalla costruzione con la struttura del tetto, e in questo caso si prevedono tipicamente tre strati sotto il terriccio coltivato: una barriera permeabile antiradici, uno spessore drenante o di accumulo delle acque a seconda del clima prevalente, strati impermeabilizzanti.

Chicago City Hall
La diffusione in Europa è relativamente ridotta nei paesi mediterranei, mentre è naturalmente molto più ampia in Scandinavia e Gran Bretagna, va notato però che in Germania ormai almeno il 10% dei tetti sono "verdi" e che anche la Francia sta lavorando molto attivamente in questa direzione.
All'estero i "campioni" del green roof sono attualmente Stati Uniti e Giappone, ma altri paesi, come la Cina, stanno iniziando l'inseguimento. Va detto che la presenza di comitati di cittadini (come a San Francisco) sta avendo un impatto notevole anche sulla sensibilità delle istituzioni in questo senso.

E i costi? Un green roof costa un po' più di un tetto normale (fra il 20 e il 40% in più) ma di contro permette un utilizzo molto più  variegato del tetto stesso,  una migliore qualità della vita, risparmi energetici notevoli, e una durata come si diceva doppia o tripla delle coperture. In parole povere, è un ottimo investimento che normalmente si ripaga in pochi anni e nel tempo diventa un guadagno in tutti i sensi.


ACROS - Salone internazionale della Prefettura di Fukuoka
Credo che il green roof sia un esempio perfetto di un passo concreto sulla strada dell'utopia. Se il nostro obbiettivo è un futuro di sostenibilità "naturale", è più facile arrivarci attraverso concetti che integrano la realtà esistente che aspettando una totale ri-progettazione e ricostruzione delle città e del nostro sistema economico-industriale.
Il tetto orto, il terrazzo giardino, è un luogo-concetto che possiamo sviluppare oggi, su edifici esistenti, che permette pratiche di sostenibilità, riduce lo spreco energetico, migliora la gestione delle acque, rende le città più belle, migliora la qualità dell'aria e della vita.
Perché non subito?